Era come scivolare per terra e accorgersi di non essere più in grado di rialzarsi. Sai cosa dovresti fare: flettere il ginocchio, appoggiarti sul gomito, puntare il piede, fare leva con i muscoli... ma non ci riesci. Forse perché in fondo non vuoi farlo. Perché all’orizzonte non vedi nulla. Nessun motivo valido per rimetterti in piedi.
 
Era così che Marie si sentiva. Dormiva quasi tutto il tempo, stesa sul divano sfondato di Claire, con i vestiti addosso. A volte andava nel guardaroba, indossava uno degli abiti di scena e si guardava allo specchio, per fingersi un’altra. Spendeva gli ultimi soldi per comprare vino, anziché pane. Vino scadente, che bruciava in gola, ma stordiva a dovere. Cosi riusciva a non sognare il vecchio padrone. A non sognarlo con la faccia da faina di Duval, o peggio... con la faccia di Bastien. Bastien più grande, uomo fatto. A volte erano i conati di vomito a svegliarla, rischiando di soffocarla.
 
A mano a mano che i giorni passavano e diventavano settimane, i giri in cerca di un qualunque lavoro si fecero più corti e sporadici. Alla fine cessarono. Prese a elemosinare dagli osti i fondi delle botti, la risciacquatura del mosto, qualunque cosa l’aiutasse a spegnere i ricordi e i pensieri il più in fretta possibile. La mente iniziò lunghe circonvoluzioni che la portarono lontano, in territori dove anche il pensiero di Claire iniziò ad assopirsi e Jacques non era che un fantasma dai tratti indistinti. Una notte – o forse era giorno – sognò Scaramouche, con un naso enorme, il mantello spiegato come le ali di un rapace, che aggrediva uomini imparruccati, colpendoli con il rostro e cavando loro gli occhi. Assomigliavano tanto ai gecchi che stazionavano a Palazzo Egualità. Marie li vedeva quando faceva il giro delle osterie. Le avevano perfino allungato qualche spicciolo, una volta, coprendola di sfottò. Uno le aveva chiesto quanto volesse per una sveltina nell’androne accanto. Marie gli aveva ringhiato contro. E quando si era vista riflessa in una pozzanghera aveva riconosciuto il viso di Théroigne de Méricourt, scarmigliata e folle: lo stesso sguardo perso, il mento che tremava.
 
Ogni sera tornava nella soffitta di Claire, a consumare il poco che aveva raccolto. A volte piangeva, pensando a sé stessa, poi anche le lacrime finivano restava silenziosa, al buio, a chiedersi perché Nostra Signora della Ghigliottina non la chiamasse a sé, accanendosi a risparmiarla.