L'orologio è nero, da tasca – insolito: di norma gli orologi sono rotondi, questo invece è quadrato e, volendo, può anche trasformarsi in un orologio da tavolo – basta premere da sotto in su il coperchio, questo si stacca e diventa una specie di sostegno.
Tanto tempo fa lavoravo da un orologiaio, e quando venne il mio ultimo giorno di lavoro il padrone mi regalò questo orologio. Per me quello fu un giorno memorabile: dopo molti anni di confino tornavo nuovamente libero: potevo andare dovunque volessi, tranne che a Mosca e a Pietroburgo, la polizia mi avrebbe rilasciato un passaporto permanente.
Che fortuna: una volta per tutte – senza limite di tempo! – non doversi più trascinare da un commissariato di polizia all'altro con un qualsiasi visto «temporaneo››, cioè da rinnovare periodicamente, o peggio ancora, con un documento «di transito››. Quello stesso giorno, con l'insolito orologio avuto in dono, lasciai Vologda, ultima tappa del mio esilio.
Tutto ciò che ho scritto da allora, tutto è passato sotto lo sguardo acutissimo di quell'orologio. È possibile, anzi probabile, che tutto ciò che ho scritto sia privo di qualsiasi valore, destinato a non lasciar traccia – i n s i g n i f i c a n t e, del resto si sa, è il rischio di chi scrive! – ma ogni volta che scrivevo avevo l’impressione di fare qualcosa di importante per me stesso, e desideravo restare al mondo proprio per portare a termine a ogni costo ciò che avevo iniziato. Come correva l'orologio! Talvolta, ritornando in me all'improvviso, fui sul punto di spezzare le lancette – arrestare il tempo.
Ma spesso le cose andarono diversamente: l'orologio sembrava essersi fermato. Questo accadeva nel corso della mia esistenza, che ho sempre attraversato come un estraneo, nel perpetuo attimo dell'attesa, come uno che si trovi in casa d'altri. (Già da tempo ho ben compreso la differenza tra me e coloro che nella vita sono i «padroni››). E insieme con l'orologio mi fermavo anch'io, docile, pietrificato: il tempo ha cessato di scorrere – non importa, così ha voluto il destino!
L'orologio ha visto due incendi – feci appena in tempo ad afferrarlo dal tavolo, prima che il fuoco lo avvolgesse, lo portai in salvo in mezzo a tutto quel fumo. E tre rivoluzioni – sempre al mio fianco, non me ne sono mai separato. E quando ero malato mi indicava il momento in cui togliere il termometro. Accadeva che mi assopissi stringendo l’orologio nella mano, nei frangenti peggiori della malattia, sulla soglia della morte. E nel periodo più difficile, in Russia, quante brighe per il vetrino: si era rotto! Un altro non si trovava, e dove lo avevano – «chiuso per inventario››, ma alla fine riuscii a procurarmi anche il vetrino.
Riparai l'orologio.
Soltanto negli ultimi tempi, da un anno a questa parte, avevo smesso di portarlo con me: mi pesava – nella tasca sinistra! – il mio cuore è come quello di un uccellino, e non solo – è anche ostinato. L'orologio ha cominciato a pesarmi, così non l'ho più portato. Ma lo tenevo sul tavolo, sempre davanti a me: diligente come al solito, però con qualcosa di severo. E verso il dieci di agosto – l'ho perso.