La nostra pace ringhiosa buttava già semi nella stessa guerra.
Si poteva indovinare quel che sarebbe stata, l’isterica, solo a vederla agitarsi nella taverna dell’Olympia. Giù nella lunga cantina-dancing strabica di cento specchi, lei trapestava nella polvere la gran disperazione musicale negro-giudaica-sassone. Britannici e neri mischiati. Levantini e russi, se ne trovano dappertutto, a fumare, berciare, malinconici e marziali, per tutti i sofà cremisi. Quelle uniformi di cui ci si comincia a ricordare solo a gran fatica, furono le sementi dell’oggi, questa cosa che cresce ancora e che diventerà un vero letamaio fra un po’, alla lunga.
Ben allenati al desiderio da qualche ora d’Olympia ogni settimana, andavamo in gruppo a far poi visita alla nostra lingerista-guantaia-libraia Madame Herote, all’Impasse des Beresinas, dietro le Folies-Bergerès, oggi scomparsa, dove i cagnetti venivano con le padroncine, al guinzaglio, a fare i loro bisogni.
Ci venivamo, noi, a cercare a tentoni la nostra felicità, che il mondo intero ci insidiava con rabbia. Ci vergognavamo di quella voglia, ma bisognava pur farci qualcosa! È più difficile rinunciare all'amore che alla vita. Si passa il tempo a uccidere o ad adorare, a ‘sto mondo, tutt’e due insieme: “Ti odio! Ti adoro!”. Si tira avanti, ci si tiene compagnia, si appioppa la vita al bipede del secolo dopo, con frenesia, a ogni costo, come se fosse straordinariamente divertente perpetuarsi, come se quello ci potesse rendere, in fin dei conti, eterni. Voglia di abbracciarsi malgrado tutto, come ci si gratta.