E Varenucha con tanto di cartella uscì di gran carriera dall’ufficio.
Scese al piano di sotto, vide una lunghissima coda nei pressi della cassa, venne a sapere dalla cassiera che il pubblico s’era riversato a valanga dopo l’aggiunta del manifestino supplementare, ordinò alla cassiera di mettere da parte e di non vendere i trenta posti migliori nei palchi e in platea, schizzò via dalla cassa, senza interrompere la corsa respinse degli importuni cercatori di biglietti omaggio e s’infilò nel suo ufficio per prendere il berretto. Il quel mentre cominciò a trillare il telefono.

“Sì!” gridò Varenucha.

“Ivan Savel’evič?” s’informò la cornetta con una disgustosa voce nasale.

“Non è in teatro!” gridò Varenucha, ma la cornetta subito gli ribatté: “Non faccia lo scemo, Ivan Savel’evič, e mi ascolti bene. Non porti quei telegrammi da nessuna parte, e non li faccia vedere a nessuno.”

“Con chi è che sto parlando?” rugliò Varenucha. “ La smetta con questi scherzi, cittadino! Sarà subito smascherato! Che numero ha?”

“Varenucha” ribatté quella stessa voce disgustosa. “Lo capisci il russo? Non portare quei telegrammi da nessuna parte.”

“Così non ha intenzione di smetterla?” si mise a gridare l’amministratore infuriato. “Allora mi stia a sentire! La pagherà per quel che sta facendo!” Gridò ancora una qualche minaccia, ma poi tacque perché si rese conto che non c’era nessuno in ascolto all’altro capo del telefono.

A quel punto lo studiolo cominciò rapidamente ad oscurarsi. Varenucha corse fuori, sbatté la porta alle sue spalle e attraverso un’uscita laterale si diresse verso il giardino d’estate.

L’amministratore era eccitato e pieno di energia. Dopo l’insolente telefonata non aveva più dubbi che una combriccola di teppisti stesse organizzando dei brutti scherzetti, e che questi scherzetti fossero collegati con la scomparsa di Lichodeev. Il desiderio di smascherare i malfattori soffocava l’amministratore e, per quanto la cosa possa sembrare strana, in lui germogliò l’attesa di qualcosa di piacevole. Così accade all’uomo che aspira a divenire il centro dell’attenzione, a essere colui che porta una notizia sensazionale.

In giardino il vento alitò in faccia all’amministratore e gli riempì gli occhi di sabbia, quasi a sbarrargli il cammino, quasi a metterlo sull’avviso. Al secondo piano sbatté un’anta di una finestra e ci mancò poco che non volassero via i vetri, sulle cime degli aceri e dei tigli passò un inquieto fruscio. La luce variava di intensità. L’amministratore si sfregò gli occhi e vide che sopra Mosca stava strisciando a poca distanza da terra una nube di tempesta dal ventre giallo. In lontananza s’udiva un fitto brontolio.

Per quanto Varenucha s’affrettasse, un desiderio invincibile lo spinse a fare una scappatina d’un secondo nel gabinetto del giardino d’estate, per controllare che l’elettricista avesse montato la reticella a una lampadina.

Passando di corsa accanto al tiro a segno, Varenucha andò a finire in una rigogliosa macchia di lillà dove sorgeva l’edificio azzurrino del gabinetto. L’elettricista si rilevò persona diligente, la lampadina sotto il tettuccio del reparto uomini era già stata rivestita di una reticella metallica, ma l’amministratore se la prese perché persino nella penombra che precedeva il temporale era possibile distinguere che le pareti erano rivestite di scritte a carbone e matita.

“ Ma che razza di roba è…” cominciò l’amministratore, e all’improvviso sentì alle sue spalle una voce sfusacchiante: “È lei, Ivan Savel’evič?”
 
Varenucha sobbalzò, si voltò e vide dinanzi a sé una sorta di ciccione basso di statura, con una fisionomia che gli parve felina.