"tu mi fai girar, poi mi butti giù, come fossi una bambola"[...]

Con queste parole, una famosissima canzone italiana allude alla bambola come all'oggetto inanimato per antonomasia, quel giocattolo privo di anima che può essere manovrato a piacimento. Eppure la letteratura, cartacea e cinematografica, è piena di esempi di bambole che prendono vita.

Nell'opera di Fabiana Li Vigni e Simona Seidita, questi simulacri di umanità si animano, invadendo con la loro inquietante presenza, la realtà dell'osservatore. Si trasformano in viaggiatrici, ci parlano della città, fino a personificarla nelle vesti della santa patrona; si distorcono e ci rimandano i loro sguardi, quasi volessero rivelare i tratti invisibili dei bambini che, tanto tempo fa, hanno giocato con loro.

Mezzo di indagine, per esplorare questo mondo immaginifico, è la fotografia (insieme al più moderno fotoritocco digitale) che permette alle due artiste di trasferire, su supporto bidimensionale, che sia lastra incisoria o tela pittorica, l'impressione ipereale.

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