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Incontro "Anatomia di un naufragio"
e mostra fotografica "Corpi migranti" di Max Hirzel
Dall’inizio del 2018, almeno 442 persone sono morte attraversando il Mediterraneo. Tante di loro sono state portate in Sicilia, da Pozzallo a Catania, da Messina a Palermo. In ogni porto, medici legali, magistrati, ricercatori, volontari li accolgono e fanno di tutto per ricostruire l'accaduto. Nel silenzio del quotidiano, la storia di questi migranti è entrata nella vita di questi siciliani che, involontariamente, sono diventati depositari di una memoria collettiva sconosciuta a tutti.
"Anatomia di un naufragio" è un modo per conoscere cosa si cela dietro la quotidianità delle tragedie in atto nel Mediterraneo dal punto di vista di chi ne è professionalmente coinvolto.
Intervengono
Antonina Argo, Professore Ordinario e Direttore dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Palermo
Annamaria Picozzi, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Palermo
Giorgia Mirto, Ricercatrice Dipartimento di scienze politiche sociali dell'Università di Bologna
Cécile Debarge, Giornalista RFI
La mostra (prodotta in collaborazione con Minimum) sarà visitabile dalle 17.30 alle 19.30 nelle seguenti giornate: mercoledì 4 aprile, martedì 10 aprile, mercoledì 11 aprile, venerdì 13 aprile.
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Diplomato in fotografia all'I.E.D. di Milano, Max Hirzel ha realizzato reportage in Mali, Senegal, Tunisia, Palestina, Brasile, India, Libano, Polonia, Estonia, Etiopia, oltre all'Italia. Dopo la collaborazione con l'agenzia Emblema di Milano, dal 2013 è membro dell'agenzia francese Haytham Pictures, distribuita da REA. Ha di recente collaborato con Polka Magazine, Der Spiegel, Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, Sportweek, La Croix, Pèlerin, BBC on line. Il lavoro di lungo corso “Corpi migranti” è stato selezionato per la proiezione al Festival Visa pour l'Image di Perpignan 2017.
Corpi Migranti
Sicilia, Italia / Delta del Saloum, Senegal
2015-2017
“Nel deserto vidi una tomba, era di una ragazza di Douala, e mi chiesi se suo papà e sua mamma, i suoi fratelli e sorelle sapessero che la loro bimba era là”. Incontrai Alpha a Bamako, nel 2011. L'idea di lavorare sulla gestione dei corpi dei migranti deceduti, in qualche modo risale a quel giorno e alle sue parole. Ho iniziato dai cimiteri, volevo capire dove e come sono sepolti, quanti hanno un nome o cosa in mancanza. Questi corpi, per quantità ed età delle vittime, rappresentano un'anomalia, una gigante aberrazione che si tende a scambiare per fatalità. Volevo mostrare l'anomalia. Ma anche compiere un piccolo gesto, di attenzione.
Sono sparsi in tutta la Sicilia, cimiteri piccoli e grandi, vicini alle coste e nell'entroterra. A volte sul cemento fresco è incisa una scritta, “sconosciuto nr. 25”, o addirittura “africana”. Un corpo, una persona. Un numero al posto del nome. Può sembrare incuria, invece rappresenta la difficoltà a gestire quell'anomalia. Al contrario, la Sicilia dimostra grande capacità di compassione, non sempre con le prassi ma di sicuro con le persone, e a suo modo ha fatto proprio il lutto che non può essere celebrato dalle famiglie dei migranti. Di nuovo, perché mancano troppi nomi.
Mi stavo avvicinando all'essenza: l'identificazione. Da un lato del Mediterraneo delle persone lavorano per restituire un nome a un corpo, dall'altro le famiglie dei dispersi senza quel corpo non possono celebrare il lutto. Gli uni sanno poco degli altri, l'incontro tra queste due parti è il cerchio che a volte si chiude.
Il 18 aprile 2015 ha luogo l'ennesimo naufragio nel Mediterraneo, il peggiore. Più di 700 morti, 28 sopravvissuti. Il governo italiano compie una scelta inedita: un anno dopo il naufragio, il cosiddetto "barcone degli innocenti" viene recuperato dal fondo del mare, a 370 mt di profondità, e trasportato alla base Nato di Melilli. Inizia un lavoro senza precedenti, tra giugno e novembre in due tende tecniche predisposte in un hangar della base, vengono esaminati 450 corpi e relativi effetti personali, i dati post mortem vengono trasferiti al Labanof, il laboratorio di Antropologia Forense dell'Università di Milano. Lo staff del Policlinico di Palermo si distingue per capacità e presenza, giovani anatomopatologi si trovano ad esaminare troppi corpi di coetanei, così come gli addetti delle pompe funebri devono assemblare troppe bare per depositarvi troppi corpi. L'anomalia era lì, davanti a me.
Nel frattempo, nel Saloum, in Senegal, i fratelli e la moglie di Mamadou ignorano tutto ciò. Secondo il racconto di un amico sopravvissuto, Mamadou era con lui su quel barcone il 18 Aprile 2015. In due anni di un’attesa forse infinita, visitano decine di marabut alla ricerca di verità, una qualsiasi.. Awa, la giovane moglie, poco dopo la partenza del marito partorì un bimbo, Mamadou anche lui. I fratelli si sono riuniti in consiglio per dichiararla libera di risposarsi, lei non vuole perché non sa. “Affrontano un lutto impossibile”, spiega Miriam Orteiza, psicologa della Croce Rossa Internazionale. “Bisogna avere prove per accettare la morte, per poter elaborare il lutto devono avere un corpo”.